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Elia Piccoli 

 

A cura di: Anna Solati

 

Elia Piccoli è nato a San Michele Extra nel 1927. La sua famiglia si trasferì a San Martino e andò ad abitare nel quartiere di Sant’Antonio che allora era ancora sotto il comune di Verona. Era una famiglia modesta il padre, Giacomo, faceva il ciabattino per mantenere quel nucleo composto da moglie e tre figli due maschi ed una femmina.

 

Elia fin da bambino aveva una spiccata passione per la musica e a sette anni era entrato nel coro delle voci bianche della parrocchia allora diretto dal parroco don Ambrosini.

 

Aveva un talento naturale che si può definire ereditario. Infatti il nonno paterno, un modesto mezzadro autodidatta, suonava la fisarmonica  e strimpellava il pianoforte, cosa che faceva anche in occasione delle feste contadine della fine dell’ottocento.

 

Un personaggio per certi versi “trasgressivo” perché, ricordiamolo, a quei tempi la chiesa chiamava i suonatori di fisarmonica ”campanari del diaolo” in quanto riteneva che il suono di quello strumento provocasse la povera gente di campagna e montagna inducendoli a lasciarsi andare a ballare e a mettersi in condizione di peccato.

 

Erano pochi i momenti di festa. A quell’epoca, si conoscevano solo la fatica e le privazioni.

 

Suo fratello suonava la chitarra e aveva fondato un quartetto vocale “I Lalos” il cui repertorio era costituito da musiche latino­-americane. In seguito aveva fatto parte con Elia delle “Stelle del folk”.

 

Suo figlio Francesco è un apprezzato tenore, alcuni cugini suonano chi il sax, chi il violino, un nipote suona la batteria con la Band dei Methodica che fa Rock metal progressivo.

 

In paese un gruppo di appassionati capitanati da Giuseppe Scolari, che ne fu anche presidente, aveva fondato la Corale “Giuseppe Verdi”.

 

Questa antica istituzione ebbe sede fino agli anni ’80 in via XX settembre nell’omonima osteria

 

La Corale. Foto archivio Agenore Bertagna.

 

Le prove si facevano, nei bar del paese. Aveva un repertorio costituito da quelli che venivano chiamati “canti profani”. Si esibiva nelle messe cantate e anche nelle sagre. Era  apprezzata anche fuori paese.

 

Quando nel 1927 in Arena, in occasione del centenario della morte di Beethoven diedero la sua Nona sinfonia e fecero venire tutti i cori della provincia, partecipò anche la nostra corale.

 

Il padre di Elia cantava con questo gruppo e più tardi anche lui fece parte di esso e, in seguito, ne divenne anche Presidente. 

 

La Corale G. Verdi, 1948, Elia Piccoli in prima fila - quinto da destra. Foto Archivio Elia Piccoli.

 

Terminata la quinta elementare, Elia avrebbe voluto continuare ad andare a scuola, anche se negli anni trenta quel diploma era comunque un buon titolo di studio, vista l’alta percentuale di analfabeti specialmente nei paesi  di campagna come San Martino.

 

Ma il padre, a malincuore, fu costretto a dirgli che non si poteva. Per questo fu mandato subito a lavorare in un laboratorio di ebanisteria e vi rimase fino a quando non fu assunto in ferrovia.

 

Sui banchi di scuola aveva scoperto di avere talento per il disegno e nel 1940, a tredici anni,  si iscrisse alla scuola serale dell’Accademia d’arte che aveva sede a San Michele extra. Mercoledì, venerdì sera e domenica mattina, partiva in bicicletta per andare a lezione. Seguiva i corsi di pittura e scultura.

 

A quei tempi andare dopo il tramonto fino a San Michele non era proprio una cosa da farsi tranquillamente visto che tra le rovine del Forte, ora completamente smantellato, si potevano fare brutti incontri.

 

Infine la guerra arrivò anche dalle nostre parti e le strade divennero ancora più pericolose,  girare di notte poteva essere rischioso per vari motivi. Per questo, nel 1943, interruppe gli studi.

 

Fu un periodo buio per tutta l’Italia. Anche a San Martino la gente stentava a vivere e fioriva la borsa nera, ma la presenza in Musella del comando della Todt che utilizzava lavoratori e lavoratrici del posto, dava ad alcune famiglie una possibilità di sopravvivenza.

 

Il 25 Aprile in paese fu un momento di grande gioia, tutti i Sanmartinesi scesero in piazza a festeggiare la fine della guerra e al Ponte del Cristo (la guerra e la resistenza a San Martino) Elia incontrò una bella ragazza…. e se ne innamorò. 

 

Sembra strano che in una comunità così piccola i due non si frequentassero, ma era una peculiarità del paese che chi abitava prima di quel ponte non conoscesse e frequentasse chi abitava dall’altra parte, anche se tutti andavano nella stessa Chiesa Madre. Lui abitava vicino alla pesa pubblica e lei alla scaletta. Lei aveva 15 anni e lui 18. Fu un fidanzamento lungo.

 

La Scaletta, olio su tela. Quadro di Elia Piccoli.

 

Alla fine delle ostilità, per continuare quello che aveva cominciato, passò all’Accademia di belle arti Agostino Cignaroli dove seguì i corsi di disegno ornato e tecnico, ma non si diplomò perché intanto era emerso in lui un altro interesse più forte: quello per il canto.

 

Deciso a seguire la sua passione per la musica, si preparò con la massima cura e, dopo aver fatto un esame di ammissione con il severo direttore Laszlo Spezzaferri, si iscrisse al liceo musicale “Evaristo Felice Dall’Abaco”, era il 1952. Quattro anni  dopo, nel 1956, completò gli studi diplomandosi in canto e canto corale.

 

Sempre nel ‘52, un amico lo invitò a fare un’audizione con Pina Agostini Bitelli fondatrice e direttrice del prestigioso coro dei “Cantori Veronesi” che aveva sede in via del Mutilato. L’audizione andò bene, la sua voce di tenore leggero piacque alla “maestra”  tanto che Elia più di una volta si esibì anche come voce solista.

 

Elia Piccoli, in prima fila 3° da sinistra.

 

 

Il repertorio consisteva in musica  polifonica. Non c’erano strumenti, al massimo qualche pezzo comprendeva la presenza di un organo. Oltre a esibirsi nelle sedi di Verona: Castelvecchio, il Conservatorio, Palazzo Forti, i cantori furono ospitati in molte città del Veneto, dell’alta Italia e all’estero.

 

Cantori Veronesi, cortile palazzo Pitti 1953. foto archivio Elia Piccoli.

 

Di questa esperienza parla ancora con emozione ricordando in particolare l’esecuzione a Monaco del “Pianto della vergine” testo di Jacopone da Todi musicato dal compositore tedesco Wolfgang Jacobi. Il corale fu eseguito alla presenza dell’autore e ripreso anche da  radio Monaco e registrato l'11 settembre del '54.

 

 

Nella fotografia del 1954 si notano tra gli altri  da sinistra un giovane Elia Piccoli, Pina Agostini Bitelli, Wolfgang Jacobi, la soprano Iolanda Mancini.

 

Restò nei cantori fino al 1957 quando il coro cessò di esibirsi.

 

Sempre nel 1952 far parte dei “Cantori Veronesi” gli facilitò anche l’entrata nel coro dell’Arena, naturalmente dopo aver fatto un’audizione.

 

Proponiamo, da una registrazione di Elia Piccoli, un frammento di canto corale (formato MP3) : Muso da du musi.  che venne interpretato da alcuni coristi dell'Arena e dei Cantori Veronesi. Si tratta di un pezzo che ironicamente si riferisce ai doppiogiochisti. A quei tempi (fine anni '60), il brano era ormai poco eseguito e la partitura praticamente introvabile.

 

In Arena cantò fino al 1955. Smise di cantare perché essendo stato assunto in ferrovia non poteva partecipare alle prove pomeridiane. Riprese l’attività nel 1960 fino al 1983. L’assunzione era stagionale, allora non c’era ancora il teatro Filarmonico,  lo stipendio era buono [1].

 

Ricorda con ammirazione uno per uno i suoi maestri del coro tutti molto validi: Cucinati, Bertola, Mirandola, Tasso. Per lui il migliore in assoluto è stato il veneziano Giulio Bertola. Era molto severo e dirigeva con polso fermo i suoi cantanti.

 

L’accordo tra il direttore del coro e quello d’orchestra era essenziale. Per poterlo realizzare dalla  “buca” il direttore del coro seguiva con uno specchietto i  movimenti del direttore d’orchestra.

 

Elia ha visto in azione anche molti registi e racconta: “Fare il regista in Arena era un lavoro molto impegnativo che poteva durare anche più di tre settimane. Prima c’erano le prove di posizione, poi le prove con il piano, poi quelle con l’orchestra, poi con i cantanti.

 

Mi ha  impressionato particolarmente Franco  Zeffirelli.

 

Ma mi ha colpito molto anche l’edizione di Aida del 1953. In occasione dei quarant’anni  di spettacoli areniani, era stato chiamato a dirigere l’opera  il famoso regista cinematografico austriaco/americano G.W. Pabst e in scena apparve un vero canale con l’acqua (il Nilo) su cui navigava una barca. Una scenografia da film colossal americano per noi che solo otto anni prima avevamo ancora la città senza ponti e distrutta dai bombardamenti. In un certo senso era un invito a sognare e a uscire da quel periodo orribile.

 

L’allestimento di un’opera prevedeva lunghe prove del coro e del balletto. I cantanti di spicco giungevano solo all’ultimo momento per motivi di budget.

 

Arrivavano di solito alla prova generale ed era in quell’occasione che il regista li guidava sul palco. Naturalmente c’erano molte interruzioni per aggiustare le interpretazioni. L’effettiva prova generale si svolgeva la sera della prima. Tutti quindi erano molto tesi perché non si poteva sapere se si sarebbe trattato di un successo o di un fiasco. Ma la professionalità degli interpreti, dei registi e del coro permetteva quasi sempre delle belle esecuzioni".

 

Nel ’52, l’anno nel quale Elia incominciò a cantare in Arena (Arena di Verona stagioni liriche 1913-1985), tornò Maria Callas che aveva esordito nella Gioconda di Ponchielli nel ’47. Ora con il cognome Meneghini si esibì ancora nella Gioconda e nella Traviata al fianco del grande tenore Mario Dal Monaco.

 

I contatti dei cantanti con il coro erano quasi nulli, però una persona intelligente e sensibile come Elia riusciva spesso a cogliere i tratti salienti della loro personalità.

 

“Maria Callas aveva una personalità molto forte e si irritava anche per i minimi particolari che turbassero la sua concentrazione. Un piccolo rumore sulle gradinate che arrivava accresciuto sul palcoscenico, la faceva infuriare tanto da minacciare di interrompere l’esecuzione dell’opera. Poteva cantare da soprano leggero o drammatico ed era seria e professionale.

 

La sua “rivale” Renata Tebaldi, era una vera signora, gentile e alla mano. Era un soprano leggero. Per la sua voce morbida veniva chiamata voce d’angelo".

 

Ricorda con ammirazione anche Antonietta Stella, Fiorenza Cossotto altra persona molto alla mano, la grande Birgit Nilson e le soprani veronesi Adelina Grigolato,  Rosanna Carteri, Jolanda Mancini. Quest’ultima, come abbiamo visto più sopra, aveva fatto parte dei Cantori Veronesi.

 

"Mario Del Monaco era un artista sensibile che avvertiva la tensione dell’opera e quindi attraversava momenti di nervosismo pesante ma con il coro era abbastanza affabile.

 

Un altro tenore del quale ho un vivo ricordo è Franco Corelli: aveva una presenza scenica straordinaria e una voce bellissima ma subiva l’emozione da palcoscenico come se ogni volta fosse la prima volta, tanto che bisognava quasi letteralmente buttarlo in scena. E allora, e sembrava impossibile, dimenticate le paure, cantava da par suo.

 

Personaggio allegro ed estroverso era Giuseppe Di Stefano. Di lui ho un ricordo che mi riguarda personalmente: Nel 1986 avevo accompagnato a Milano mio figlio Francesco che partecipava al premio Enrico Caruso in cui era giudice anche Di Stefano. In una pausa delle esibizioni sia io, sia  Di Stefano uscimmo (lui per fumare visto che era un grande fumatore). Cominciammo a parlare del più e del meno,  e quando seppe che venivo da Verona, che avevo cantato nel coro, cominciò a ricordare con entusiasmo un periodo per lui importante. Poi mi chiese la ragione della mia presenza in quella sede e fui costretto a confidargli che ero lì per seguire mio figlio. Mi chiese in che ruolo avesse cantato (un brano dal Werter) e commentò: “Una voce molto interessante”.

 

Ecco che personaggio semplice e alla mano era Giuseppe Di Stefano ancora famosissimo nel mondo della lirica.

 

Anche il campo dei cantanti lirici veronesi era piuttosto ricco. Molto noto era il baritono Gianni Chiampan fratello di uno storico presidente dell’A.C. Verona. Anche lui proveniva dai Cantori Veronesi.

Ivo Vinco lo conoscevo da quando frequentavo il Conservatorio. Lui seguiva il corso di basso io quello di canto corale. La nostra frequentazione continuò perché entrambi facevamo parte dei Cantori Veronesi. Attualmente un suo nipote, Marco Vinco, canta con ottimo successo sempre nel ruolo di basso. Quest’anno (2012) in Arena  interpreterà il ruolo di Leporello nel Don Giovanni di Mozart.

 

Da ritenersi veronese era anche il basso Nicola Rossi Lemeni che in realtà era nato a Istanbul da padre italiano e madre russa. Studiò e si perfezionò a Verona. Grazie alla sua conoscenza della lingua fu un famoso interprete di Boris Godunov. Il compositore Ildebrando Pizzetti scrisse nove opere per la sua specifica voce.

 

Altro grande che ho conosciuto personalmente è il baritono Giorgio Zancanaro. Veniva anche lui dai Canori Veronesi, aveva un talento naturale che lo ha portato a esibirsi nei più importanti teatri lirici. Era estroso e allegro.

 

Spicca  per le traversie che l’hanno accompagnato la storia del tenore Giuseppe Lugo.

Era nato in una frazione di Sona nel 1889. Persa la madre si recò prima a Milano e poi in Belgio, nazione dove nei primi anni del XX secolo emigravano gli italiani poveri. Fece la grande guerra come artigliere. Nel 1920 tornò in Belgio dove andò a lavorare in miniera. Qui fu notato dal direttore del coro locale. Tornato a Milano non riuscì a entrare in Conservatorio a motivo dell’età : aveva più di 30 anni. Grazie alla sua bellissima voce trovò un maestro che gli diede lezioni gratis.

 

Debuttò all'Opéra-Comique di Parigi nel 1931, a 42 anni, nella Tosca nel ruolo di Mario Cavaradossi  e concluse la sua carriera a Pistoia nel 1949 nello stesso ruolo. Prese parte ad alcuni film, famoso “La mia canzone al vento” la cui canzone “Vento” venne censurata dal regime e il film “Miliardi che follia” con la canzone “Cavallino corri e va”.

Terminato di cantare tornò a vivere dalle nostre parti.

 

Tanti sono stati gli episodi che hanno costellato gli spettacoli areniani, specialmente dietro le quinte. Ne racconto alcuni anche se ci sarebbero tante altre piccole storie da ricordare. Uno riguarda Mario Dal Monaco: una disavventura  che lo irritò molto.

 

Premetto che la sua interpretazione dell’Otello è ritenuta tutt’ora un termine di paragone per chiunque voglia affrontare quel ruolo  visto che lo cantò almeno 427 volte. Eravamo nel 1955. Era la prima dell’opera. Primo atto. Siamo al famoso ’”Esultate” che deve essere cantato mentre infuria un temporale. Una serie di fumogeni invade il palco, la gola di Dal Monaco viene colpita. A stento porta a termine l’atto e l’opera.

 

Nelle successive rappresentazioni si fece sostituire da Carlo Guichandut.

 

Credo che il tenore fosse furibondo per non aver  cantato bene l’opera che era il suo cavallo di battaglia.

 

Un altro riguarda Franco Corelli. Era il 1961 durante le prove di Carmen il direttore d'orchestra continuava ad interromperlo. Il tenore persa la calma esclamò: "O via lui o via io". Fu il direttore ad andarsene perché come si disse sul giornale all'epoca: "di direttori se ne trovano tanti, ma di tenori come Corelli no!".

 

Il 12 agosto del 1962 la scenografia dell’opera “Un ballo in maschera” che era costituita tra l'altro da una muraglia di fogliame bruciò. L’autocombustione innestò un incendio che distrusse tutte le scene. Il calore e l'acqua usata per estinguere le fiamme ruppe molti gradoni e il loro restauro terminò nel 1969. La stagione lirica venne sospesa, come succede in caso di calamità, e noi fummo mandati a casa senza stipendio.

 

Altro momento teso in una rappresentazione della Carmen di Bizet. Era il 1970. Era la prima dell’opera.  All’inizio del quarto atto era prevista l’entrata in scena di una carrozza trainata da due cavalli nella quale si trovavano Carmen (Adriana Lazzarini) ed Escamillo (Piero Cappuccilli). Alle prove tutto era andato bene, ma al momento dello spettacolo avvenne il dramma. Appena entrati in scena i cavalli, forse abbagliati dalle luci violente, si imbizzarrirono e a gran velocità percorsero tutto attorno il palcoscenico minacciando di precipitare sull’orchestra. Infine rientrarono dietro la quinte fermandosi contro il muro dell’Arena. Dopo la sospensione l’opera proseguì ma, questa volta, i cantanti rientrarono a piedi…”

 

Il ’56 sembra essere un momento di pausa nella carriera di Elia. E’ l’anno in cui si sposa. Forse è giunto il momento di fare  una vita più tranquilla. Rinuncia a cantare in Arena e il suo impegno con i Cantori Veronesi diventa più rarefatto.

 

Ha fatto il concorso per entrare in ferrovia e l’ultimo giorno dell’anno del 1956 viene assunto.

 

La sede di destinazione fu Vicenza dove lavorò nel reparto carrozzeria a contatto con le vernici e la polvere di amianto che imbottiva i tetti dei vagoni. Più tardi si scoprirono gli effetti cancerogeni delle polveri di quel minerale.

 

Nel 1960 tornò a cantare in Arena come corista effettivo e d’estate la sua vita cominciò a essere vorticosa. La mattina si alzava alle 5 per prendere il treno che lo portava sul lavoro, tornava a San Martino con il trenino delle 17,30. Dice la moglie Iva: “Lui la musica ce l’ha nell’anima fa parte della sua vita. Purtroppo io non avevo il suo amore per la lirica e mi sentivo trascurata. Andavo ad aspettarlo in stazione con la macchina e lui partiva per  Verona per cantare nelle serate areniane. Per seguire la sua passione per il canto  praticamente a San Martino non c’era mai”.

 

Dice Elia: “Sono cose bestiali, mi sembra impossibile aver fatto tutto questo.”

 

Terminata l’opera assieme agli altri coristi andava a mangiare un boccone e rincasava tardissimo. “Quanta pazienza! “ dice la moglie, “Non era mai a casa. Ma  se gli avessero offerto un altro lavoro meno impegnativo e magari anche con uno stipendio più alto, non lo avrebbe accettato. Era fatto così. Non era per il denaro ma solo per la passione. Non c’erano orari,  ma la mattina era sul posto di lavoro.”

 

Naturalmente seguiva  il complesso nelle trasferte fuori Verona.

 

Instancabile partecipava anche a concorsi di musica leggera classificandosi primo molte volte. L’ultimo a cui partecipò nel 1965 si svolse al Teatro Salieri di Legnago, era un concorso di musica leggera, e fu premiato con la medaglia d’oro.

 

“Non mi sentivo sminuito per il repertorio che avevo portato perché i giornali dell’epoca avevano messo in rilievo che ero un tenore lirico leggero tipo Carrera, per capirci."

 

Nel campo del lavoro ottenne il trasferimento a Verona.

 

Dopo gli anni ’70 oltre alla stagione in Arena fece varie esperienze nel mondo del canto, anche della musica leggera. Entrò a far parte del complesso  “Le nuove stelle del folk”.

Il gruppo si esibiva nelle piazze e nei locali della nostra provincia, in trentino e nel mantovano.

A Porto San Pancrazio c’era il gruppo “Le voci” che portava in giro la musica lirica e lui fece parte anche di questa iniziativa e si esibì anche con il baritono veronese Giorgio Zancanaro. Di cui abbiamo trattato più sopra.

 

Sempre impegnato nel campo musicale, non si lasciava sfuggire anche occasioni più leggere come la partecipazione alla trasmissione Rai “Il microfono è vostro”, una specie di Xfactor degli anni ‘50 che si rivolgeva ai cantanti dilettanti delle varie regioni. Presentava il famoso Nunzio Filogamo, voce della radio molto conosciuta a quei tempi.

 

Il provino venne effettuato nella sede locale della RAI, allora a Porta Palio. Elia purtroppo fu scartato perché, innamorato del suo paese e dei nostri artisti, aveva portato un’Ave maria del concittadino Romolo Nicolis, un pezzo classico che si rivelò una scelta troppo seria per un programma di disimpegno.

 

Nel ’79 cominciarono i primi disturbi della voce e purtroppo gli venne diagnosticato un tumore alla corda vocale  destra che fu asportata nell’81.

 

Elia Piccoli in un frammento di registrazione su nastro di fine anni '70, la voce è già indebolita dalla malattia che presto gli impedirà di cantare (file MP3): Pietà Signore di Alessandro Stradella.

 

Tra le cause di questa malattia forse non c’è stato solo l’aver cominciato a cantare da bambino, ma anche l’azione dell’amianto e delle vernici sull’ apparato vocale. Una malattia professionale che in quegli anni non veniva riconosciuta.

 

E così terminò la sua carriera di solista.

 

Possiamo immaginare lo sconforto di quei momenti per un uomo che di musica viveva.

Potrà stare lontano dal suo mondo? Impossibile. Viene infatti nominato nel 1982 presidente del corpo bandistico comunale del paese: un’istituzione che ha una lunga e travagliata storia.

 

La banda continuerà la sua esistenza fino al 1989 poi, purtroppo con le dimissioni di alcuni membri ,e l’iscrizione di pochi giovani ne venne decretata la fine. Gli elementi supersiti andarono a ingrossare le file della banda “Carlo Montanari” di Lavagno, tuttora esistente (cenni storici della banda comunale).

 

Ma la presidenza della Banda non era sufficiente per Elia.

 

Così lo vediamo via via: istruttore, direttore del coro e presidente della corale Giuseppe Verdi; direttore del coro “Villa Girevole” di Marcellise; direttore del coro “Scola Cantorum” di Marmbrotta; infine dal 2003 al 2009 direttore del coro dell’Università della terza età di San Martino.

 

In conclusione possiamo dire che ha passato la vita nella musica e per la musica, senza monetizzare il tempo che ha impiegato per essa. Possiamo dire che ogni volta che in San Martino si è creata qualcosa che la riguardasse lui è sempre stato in prima fila.

 

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[1] Il teatro Filarmonico fu inaugurato il 6 gennaio 1732. Pur non essendo Verona una città capitale era conosciuto in tutta Europa per la bellezza della sua struttura e per l’importanza delle opere che vi erano eseguite. Prese fuoco il 21 gennaio 1749. Fu inaugurato una seconda volta nel 1754. Il 23 febbraio 1945 un violento bombardamento lo distrusse. Ricostruito ricominciò gli spettacoli nel 1975 ed è diventato sede degli spettacoli invernali dell’Ente Lirico Arena di Verona, ora Fondazione Arena.

 

 

Agosto 2012

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