Home  C'era una volta

 

 

 

I Giochi

 

Di Eddo Foroni

 

      In campagna sia i bambini che le bambine  dovevano lasciare i giochi molto presto.

IL lavoro richiedeva braccia un po’ di tutte le età e quindi dopo i compiti, per chi andava a scuola, qualche volta solo fino alla terza elementare, essi dovevano occuparsi di mansioni che erano adeguate ai loro verdi anni. Tuttavia i ragazzini giocavano con el s’cianco, con le pice (biglie di terracotta colorata) a salta moleta se maschi,  le bambine con le pue  che erano parvenze di bambole fatte in casa con straccetti legati con lo spago per farvi la testa e le gambine e poi con una penna ad inchiostro due segni per gli occhi, il naso e la bocca.. (che fantasia la povertà ! )

 

Lo s’cianco era un gioco tanto semplice quanto entusiasmante. Gli attrezzi che si usavano erano: un bastone di circa 25 / 30 centimetri, ricavato da un vecchio manico di scopa, e un altro pezzetto di 10 / 12  centimetri che si doveva acuminare nei due lati come quando si tempera una matita, tutto qui!!!

 

Si giocava in due ragazzi o in due squadre da una base: la mare che era un grosso sasso e, siccome bastava dare un colpo col bastone ad una delle estremità dello s’cianco, perché questi prendesse il volo, si doveva essere bravi e sferrare contemporaneamente un altro violento colpo allo stesso per farlo andare lontano. Si dichiarava ad occhio la distanza da esso compiuta, se l’altro contendente riteneva che era stata eccessivamente azzardata, si controllava la distanza effettiva adoperando come strumento di misura il bastone da 25, 30 cm., e se era stata data per eccesso, il battitore perdeva il posto e lasciava il gioco all’altro. Ciò accadeva anche se chi batteva  sbagliava l’ultimo dei tre colpi consentiti a far alzare lo s’cianco.

La partita la vinceva chi raggiungeva un certo punteggio concordato. Logicamente occorreva un po’ di spazio per non ammaccare l’occhio…di qualcuno…spero di essere stato esauriente.

Questo gioco sembra essere ritornato di moda perché si tornano ad organizzare tornei con squadre e di Quartiere, e della nostra Provincia.

     I giochi con le pice erano essenzialmente due:buseta e, cerchieto.

Per giocare a buseta si scavava una buca sul terreno con il calcagno della scarpa, poi da una certa distanza i partecipanti cercavano di centrare la buca, rigorosamente facendo leva con l’indice sul pollice (uno scricio), i più evoluti adoperavano il medio. Chi ce la faceva prendeva tutte le pice sul campo.

Se al primo colpo ciò non riusciva, cominciava a tirare il concorrente più lontano, il primo che entrava in busa  prendeva tutto. .

Per giocare a cerchieto si tracciava un cerchio al cui interno ogni giocatore metteva un certo numero di pice deciso in precedenza. Esse venivano scelte tra le meno amate perchè  anche per le pice ognuno aveva le sue predilette.

 

Poi si cominciava a tirare nel cerchio da un punto stabilito: rigorosamente indice o medio-pollice. Il primo che  colpiva una picia buttandola fuori dal cerchio poteva continuare fino a quando non sbagliava.

La regina delle pice era la marmora una particolare pallina che, per un suo incantesimo interno, aveva il dono di colpirne un’altra occupandone il posto alla fine del tiro. Per questo motivo, siccome toccava al padrone della marmora  continuare a colpire, era come se una volpe si fosse intrufolata in un pollaio. I più poveri si servivano invece di sassolini rotondi di ruscello.

 

      Il gioco delle pice cominciò a morire quando ad esse furono sostituiti i tappi delle bottiglie di birra o aranciata che portavano sul retro la foto del campione di ciclismo preferito. Si estinse definitivamente quando le pice di terracotta furono sostituite prima da palline di vetro con all’interno strisce colorate e poi da palline di plastica con all’interno la foto dei campioni più amati del momento.

 

      Più sofisticato era il gioco con le sfere che otturavano le bottiglie in vetro delle “gazzose”, erano di un vetro smerigliato che sembrava trasudare, ma siccome le bottiglie erano recuperabili, si potevano avere solo quelle che andavano rotte. Poi con la “Coca Cola” le cose cambiarono perché la bevanda era in …lattine.

     

Si giocava anche a fare delle capanne con le alte erbe o arbusti, alla pega che sarebbe la peta dei cittadini: segni disegnati sul terreno o col gesso. Per quest’ultimo gioco c’erano alcune regole fisse, ma altre si concordavano al momento.

Si giocava anche, come in città, se si trovava un cerchione di bicicletta che si faceva rotolare con una manovella di filo di ferro.

 

Con un mucchietto di polvere si poteva anche fare il gioco di piantare sullo stesso un temperino gettandolo in molti modi come da un certo regolamento.

       Alla Sagra di San Luigi c’erano sempre i giochi nel cortile della Chiesa come la corsa dei sacchi, il gioco della mosca cieca, quello delle pignatte da rompere, l’albero della cuccagna che impegnava però i più grandicelli e la giostra a cadene dove si poteva girare in tondo attorno ad un palo, essa era chiamata anche con l’elegante nome di calcinculo ed è sopravvissuta fino a poco tempo fa.

 

Si poteva volare verso l’alto dando un vigoroso colpo di gambe o essendoci seduti dietro alla ragazza preferita, dopo averla raggiunta, spedirla verso l’alto con un vigoroso colpo di braccia.

      Qualche volta c’erano anche giochi che richiedevano un certo ingegno. Ricordo come fosse oggi che, essendo venuto dalla campagna in città a 3 o 4 anni, mi venne portata una automobiletta di legno sulla quale potevo montare e pedalando, andare.

I miei zii, di qualche anno più anziani di me però, non erano stati capaci di progettare il volante, e quando giravo il manubrio a destra essa svoltava a sinistra…Un gioco ingegnoso senz’altro che li avrà impegnati per quasi tutte le vacanze da scuola (il fratello più grande era falegname, ecco perché avevano il legno e gli attrezzi per l’allestimento…)

        Quando si aveva una certa età e si poteva andare in bicicletta, in campagna si andava all’Osteria a giocare con i pari età a carte o alla morra, che era il gioco di gran voga, mettendo, per prudenza, uno sulla porta, per vedere che non passasse un Carabiniere: la morra era un gioco d’azzardo proibito.

         La domenica pomeriggio si poteva giocare con la palla, che non era una partita calcio, ma una specie di tennis o di tamburello, però anziché con la racchetta si rimandava la palla, che veniva da una distanza da 50, 60 metri, con l’interno della mano a pugno. Era un gioco bellissimo ormai in disuso perché le mani per la forza dell’impatto diventavano gonfie. Figurarsi ora che anche i maschi vanno dalla…”manicur”..(si dice così ?)

         Si giocava anche a bocce: al punto o a “baccalà” che consisteva nel fare punti  scagliando una boccia in mezzo ad un cerchio dove vi erano due bocce che si dovevano, se capaci, colpire e gettare fuori del cerchio stesso, se si prendeva invece un bastone di ferro, davanti al cerchio, si faceva “baccalà” e si perdeva un punto.

 

        Più che un gioco invece era un divertimento, la sera, stando sdraiati su di un sacco davanti alla stalla, riuscire per primi ad intravvedere una stella e, dopo, in bicicletta andare alla molonara in mezzo ai campi sotto un capanno di frasche a mangiare una fetta di “anguria” o di molon, il melone, sentendo dal suono che emanava un cricio sul frutto se era buona o meno…..in lontananza le rane e i grilli nella notte afosa, stellata….e tante zanzare…. 

         Io invece  non abitavo in Via Condotti ne ai Parioli, ma a San Bernardino, vicino alle case popolari, eravamo in tantissimi ragazzi: i compagni della mia classe alle elementari erano ben 53, (contro i 15, 20 di adesso..) e giocavo con mille giochi, i più disparati.  State a sentire….

Erano giochi poveri, ma quanto eravamo felici di quelle conquiste! Ora i giovani sono annoiati, hanno tutto, e non hanno più il gusto che noi provavamo quando si ottenevano, dopo tanti sacrifici le cose che desideravamo. Ci capiamo?

         

Noi che abitavamo in città, eravamo più “emancipati”, o meglio, potevamo svagarci di più perché nelle ore che dedicavamo ai giochi in campagna, i nostri coetanei mungevano le vacche o facevano altri lavori pesanti. I giochi erano molteplici sia per  i maschi che per le femmine.

Il gioco maschile più sofisticato di tutti era quello con i caretini a cuscinetti. Bastava avere tre cuscinetti vecchi con le sfere anche mezze consunte, un’asse lunga circa un metro, larga 40 centimetri, un paio di bulloni, un manico di scopa e si costruiva un veicolo che in discesa prendeva una velocità da far …rabbrividire. Vi era un cuscinetto a sfere davanti, inserito nel manubrio che era un pezzo di scopa e sempre inseriti dietro, in un altro pezzo, due cuscinetti che mantenevano in equilibrio il caretin. Era uno spasso ma si poteva andare solo dove c’era una strada liscia o asfaltata perché in mezzo alla polvere od ai sassi esso si affossava.

Anche questo gioco è tornato da poco de moda: da qualche anno si fanno addirittura i campionati italiani in discesa e proprio nel veronese da Nesente a Novaglie.

 

           Avevamo anche comportamenti molto trasgressivi, dei veri teddy boys. Ve ne faccio alcuni esempi.

Si andavano a suonare i campanelli delle affittanze degli ultimi piani specie dalle vecchiette. Se dall’androne qualcuna si affacciava a chiedere chi fosse a suonare, noi in coro rispondevamo “Siora, la se lava i piè !” …e via di corsa… Mettevamo uno stuzzicadenti nei campanelli che poi suonavano in continuazione.

 

Qualche volta di sera, dopo la lezione di catechismo, con i sassi rompevamo le lampadine in strada a rischio di essere rincorsi dai vigili che ci …aspettavano al varco.

Si giocava anche con le sfiondre, fionde che con i sassi  uccidevano le povere lucertoline sui muri. (barbarie giovanili).

 

Se passava lentamente un camion o un carro per strada ci attaccavamo dietro costringendo il guidatore a fermarsi ed inseguirci riempiendoci di  parolacce.

Quando avevamo qualche “palanca” andavamo a comperare il “carburo” quello per le lampade ad acetilene o per i cannelli ossidrici e facendo un buco sul bussolòto interrato, con un fiammifero tenuto lontano lo facevamo esplodere e saltare ad una certa altezza.

Qualcuno ci ha rimesso qualche pezzo del corpo, in questo giochino!!!!!!

Altri arrotolavano fino a farla appuntire una striscia di carta di giornale la  infilavano in una canna cava e soffiavano, la pirola, forte per colpire il copin, la nuca, della gente, qualche volta anche il maestro quando era di spalle, rivolto alla lavagna….

Altre imprese dei più discoli erano quelle di mettere nelle tasche delle bambine i rospi trovati nell’erba o le lucertole vive. Il divertimento era quello di vedere le loro espressioni nel sentirsi muovere in tasca le bestioline inserite furtivamente.

I più tranquilli invece giocavano col moscolo, la trottola per intenderci, che era di legno ed aveva la brocheta alla base, si faceva girare vorticosamente con un colpo di scuria o stròpa con uno spago al culmine.

 

      Non mancavano anche le lotte tra le “case vece” e le “case nove” a suon di sassaiole.

Spesso si impersonavano i personaggi mitici di Salgari: Sandokan, le tigri di Mompracen, il Corsaro nero, le storie del West. Quanta fantasia, quante invenzioni!!!

 

Era solo uno svago per far passare il tempo e non c’era nessuna cattiveria. Era una contesa tra compagni di classe o di scuola, tutti amici con i quali si andava a giocare anche al Patronato dai preti, o al Cinema Esperia detto Miola  perché tra un tempo e l’altro del film si mangiavano le miòline: i semi abbrustoliti e salati delle zucche… Altro che hamburger!!!!

 

Il divertimento più grande era quello di battere il pavimento di legno con i piedi e fischiare, con gran fracasso, quando arrivavano sul più bello “i nostri” nelle guerre con gli indiani…o si vedeva qualche bacio sfuggito alla censura dei preti.

 

D’estate il Cinema era chiuso per la calura e ci si divertiva (obbligatoriamente dopo le Funzioni) ad andare in campagna a vedere …”i morosi” che se scrioltolava su l’erba.

Diventati più grandi, per cui si poteva usare la bici del pare, si correva all’Adige per il bagno nelle canalete o sul Lago di Garda a Ronchi di Peschiera, con un panino in tasca e, da bere, l’acqua dalle fontanelle che si trovavano strada facendo.

        

Quando il tempo di scuola lo permetteva, dopo le ore di lezione, e prima di andare a casa per i compiti, ci fermavamo sui prati dei bastioni e, mettendo al posto delle porte da calcio le nostre mantelle, giocavamo ore e ore fintantoché non sopravveniva il buio. Essendo il campo ristretto nello spazio, noi in tanti, e due squadre a giocare, contavamo a decine i “gol” magari 55 a 40, ed eravamo accaniti, tanto da non arrenderci  a perdere la partita. Solo quando proprio non ci vedevamo più, rimandavamo la contesa al pomeriggio successivo.

Prima di rincasare, sudatissimi, cercavamo di rimetterci un po’ in ordine, specie nelle scarpe che erano infangate e mal ridotte, e allora col fazzoletto ed un po’ de spuacio  cioè saliva, rimediavamo il tutto scansando quindi qualche ceffone da parte dei genitori, che erano oltretutto in pensiero per il…ritardo…

           Dala Ana, che era la fruttivendola del quartiere compravamo le cioccolate Zani, non per la cioccolata, ma per le figurine che ogni confezione conteneva: in esse erano effigiati i grandi dello sport, Bartali, Coppi, Magni, Nuvolari, Meazza e Piola: i nostri idoli. Con esse ci giocavamo in mille modi e ne avevamo delle centinaia.

 

Ora sono ricercate dai collezionisti, la più rara era quella del “feroce Saladino” valeva un sacco di soldi !! Le bambine  erano per natura molto più tranquilla.

 

Giocavano alle mame  ai dotori.

Le più “sportive” giocavano alla peta, alle pice, alla corda, (gioco che si svolgeva con diverse modalità e in cui bisognava mostrare riflessi piuttosto pronti), a nascondino, a corarse drio, al giro tondo, a ruba bandiera, ai quattro cantoni, ai pegni.

Un gioco fantasioso e singolo era “ Il tesoro”. Si trovava un punto di terreno nascosto, si scavava una piccola buca, vi si riponevano piccole cose: fiori, perline e altro, in modo “artistico”, ci si metteva sopra un pezzo di vetro rotto e si ricopriva il tutto con  terra. Per giorni si andava “scoprire” il proprio tesoro beandosi del piacere di vedere attraverso al vetro quello che c’era sotto! Era  una  specie di riproduzione statica del caleidoscopio, oggetto amatissimo da entrambi i sessi..

Per chi poteva “spendere” c’erano anche dei grandi fogli di cartone dove era riprodotta una bambola da ritagliare ed i vestiti che si potevano farle indossare.Si potevano acquistare altri cartoni con la stessa bambola ma vestiti diversi. Insomma la Barbi è stata inventata in Italia!!! Arrivate alla pubertà le ragazzine facevano solo comarego.

L’argomento era “certe cose” cioè quanto avvertivano di “misterioso” e la curiosità le spingeva a voler conoscere senza avere coraggio di chiedere ai “grandi”. Si parlavano sottovoce negli orecchi con il pudore di allora.

Le notizie, essendo riferite da altre coetanee, erano delle più fantasiose: ad esempio le più informate sostenevano che i bambini nascessero uscendo …dall’ombelico. Come si facesse a mettere in cantiere i sopraddetti bambini era top secret o quasi, anche lì l’immaginazione si sfrenava, ma niente paura: “Lui” lo avrebbe insegnato al momento opportuno.

Con questo bagaglio di conoscenze, la ragazza di città affrontava tranquilla il suo futuro.

      Si era ormai al tempo non più dei giochi ma dei primi “filarini” d’amore, le prime occhiate al ragazzo piacente, le prime illusioni, anche le prime delusioni, che però lasciavano il tempo che trovavano….. insomma la vita che da millenni nei sentimenti sembra essere immutabile….

      Invece in appena un paio di generazioni la società è cambiata completamente sarà opera del progresso, delle conquiste tecniche di vario tipo, del benessere etc….. in bene o in male ? Ma !

 

Certo che ‘na ‘ olta  non vi erano le stragi del sabato, della domenica e del lunedì mattina, per aver  bevuto un qualcosa in più, fatta una canna o uno spinello, ingerito l’extasi …...

Si viveva semplicemente, si moriva normalmente, intendo in modo naturale.